Queer Divine di Carlo Bevilacqua
Diverse culture in tutto il mondo riconoscono diversi generi sessuali e la presenza di società poligender possono essere ricondotte all’antichità̀ in quasi tutti i continenti.
(Carlo Bevilacqua)
Queer Divine è il titolo di un progetto fotografico in progress di Carlo Bevilacqua, sviluppato e realizzato in diversi paesi del mondo. E la composizione di questo stesso titolo ci introduce l’oggetto di ricerca del suo fotografo. La parola Queer ha iniziato a diffondersi in Europa nell’Ottocento, ed ha sempre cercato di catalogare l’omosessuale come una figura bizzarra e dalla facile discriminazione. Oggi, invece, quella stessa parola è utilizzata dalle persone per non definirsi parte di una categoria specifica e per riconvertire un termine da sempre dispregiativo (annullandone così l’effetto).
Dall’altra parte, Il termine Divine è chiaramente associato ad una dimensione non materiale, ultraterrena e spirituale. L’unione di queste due parole spiega l’intento del progetto di Bevilacqua: scoprire e comprendere qual è il legame (qualora esistesse) tra la fluidità di genere e il divino, nelle varie culture del mondo. È stato quindi interessante scoprire che quello della fluidità di genere è un concetto presente già nella maggior parte delle mitologie delle antiche organizzazioni sociali di ogni continente. Ciò è anche dimostrato da alcune culture che, ancora oggi, non hanno una concezione esclusivamente binaria dell’identità di genere e che non prevedono l’utilizzo di termini come gay o transgender, di natura occidentale. [ ... ] Vai all'Articolo
Francesco Cito
Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. L' inizio in campo fotografico 1975, avviene con l' assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.). Gira l' Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag., che gli dedica la prima copertina per il reportage "La Mattanza". Successivamente collabora anche con L'Observer mag.
Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.
Nel 1982 - 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 per The Sunday Times mag. aveva realizzato, un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell'organizzazione contrabbandiera. Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese da Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E' l'unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.
Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima "Intifada" 1987 - 1993 e la seconda 2000 - 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il tedesco Stern mag. un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell'aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco durante l'assedio israeliano,alle città palestinesi.
Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e ancora clandestinamente a seguito dei "Mujahiddin" per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l'intento di incontrare Osama Bin Laden. Intento non andato a buon fine a causa l'inizio dei bombardamenti americani.
Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" con il primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell'operazione "Desert Storm" e la liberazione del Kuwait 27 - 28 febbraio 1991. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell'Islam dal Pakistan al Marocco, Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici.
Nel 2000 realizza un reportage sul " Codice Kanun ", l'antica legge della vendetta di origini medievali nella società albanese
In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 l' obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro.
Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.
Nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini "Van Cleef & Arpels" gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l'operosità attraverso le mani dei loro artigiani, nel confezionare i gioielli più esclusivi del mondo. 50 immagini raccolte in un volume stampato in nove lingue.
1995 il World Press Photo gli conferisce il terzo premio Day in the Life per il "Neapolitan Wedding story "
1996 il World Press Photo gli conferisce il primo premio per il Palio di Siena.
1997 l'Istituto Abruzzese per la storia d'Italia contemporanea, gli conferisce il premio "Città di Atri" per l'impegno del suo lavoro sulla Palestina.
2001 il Leica Oskar Barnak Award lo segnala con una Menzione d'Onore per il reportage "Sardegna"
2004 riceve il premio Città di Trieste per il Reportage. I° edizione
2005 riceve il premio: La fibula d'oro, a Castelnuovo Garfagnana (LU)
2005 riceve il premio " Werner Bischof " Il flauto d'argento ad Avellino
2006 l'associazioni FIAF lo insigna del titolo "Maestro della fotografia italiana
2006 vince il premio Bariphotocamera
2007 riceve il premio Benevento
2009 vince il premio San Pietroburgo (Russia)
2009 insignito del premio Antonio Russo per il reportage di guerra, (Pescara)
2013 vince il primo premio Canon - Mondadori
Ha collaborato e pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e straniere:
Bunte / Epoca / l'Europeo / Figaro mag / Frankfurter Allgemeine mag / Illustrazione Italiana / Il Venerdì di Repubblica / The Indipendent / Io Donna / Il Sole 24 Ore mag / L'Express / Life / The Observer mag / Panorama / Paris Match / Sette-Corriere della Sera / Smithsonian mag / Stern / Sunday Times / Traveler / Zeit mag
Luisa Vazquez e, in una sera, il racconto di sei anni a Palermo
di Salvatore Clemente [ https://www.economiaefinanzaverde.it/ ]Nel mutevole scenario palermitano comparve un giorno, da turista occasionale, Luisa Vazquez. S’innamorò subito di questa complicata città cosmopolita; Gioacchino fu in verità l’occasione che generò i presupposti della conoscenza, a seguito di uno scambio incrociato di abitazioni fra Palermo e Madrid. Poi il fascino della composita Palermo fece il resto.
La mia conoscenza di Luisa avvenne tramite l’Imago della signora La Bua. Quando Vincenzo, nel corso di una riunione di soci, propose una visita a una mostra di Street photography, composta da belle foto ambientate nelle vie di Madrid. Una gran bella mostra d’immagini tutte in bianco e nero, intitolata “La Calle”, che per Palermo costituiva allora quasi una novità di genere. Nell’occasione feci conoscenza con l’autrice e in breve si innescò una frequentazione costante presso l’Imago.
Luisa non perdeva mai le nostre serate settimanali, anche perché – e lo scoprimmo quasi subito – era particolarmente attratta anche dalla pasticceria palermitana. A pochi metri dalla sede dell’Imago – in borgata San Lorenzo/Cardillo – il bar Gardenia eccelle infatti nella produzione dolciaria e in particolare della “Sfingia di San Giuseppe”. È una prelibatezza di pastella fritta nella sugna, ripiena e ricoperta di delicatissima ricotta, mista a pezzetti di cioccolato e frutta candita. Il tutto attraversato da una scorza d’arancia come nei cannoli: una goduria assoluta che per Luisa era meglio di qualunque altra cosa.
Come carattere, Luisa accompagna all’affabilità un’indole testarda e intransigente, come usiamo dire dalle nostre parti quando parliamo dei calabresi.
Ha sempre gestito con intelligenza la sua apparente irremovibilità e spesso, rimuginando su decisioni istintive, è in grado di tornarci sopra, per addivenire a un giusto compromesso.
Acuta nelle osservazioni, ha spesso palesato i punti di vista differenti dal comune sentire, senza farsi condizionare da pregiudizi e proponendosi per progetti sempre nuovi.
I giudizi su chi gli sta attorno sono sempre azzeccati e bastano pochi incontri e qualche frequentazione per acquisire una scheda dar far invidia a uno psicologo. Pur rimanendo sempre riservata nei suoi giudizi, se in confidenza esprime un’opinione su qualcuno, è una fotografia perfetta, nei chiaro scuri e pure nei dettagli.
Luisa conserva certamente nei suoi ricordi l’automobile con la quale l’amico Greg, la accompagna all’aeroporto, nelle periodiche partenze per Madrid.
Ogni volta, armeggiando su sedili e ribaltando sponde – per posizionare meglio gli attrezzi del mestiere – Greg riesce sempre a creare gli spazi per il complicato trasbordo.
Un’esperienza particolare di Luisa a Palermo è il suo reportage realizzato sullo “Scaro”.
Per una serie di mattine, alzandosi all’alba, ebbe a introdursi con la sua macchina fotografica all’interno del mercato ortofrutticolo, per raccogliere istantanee dei momenti del mercato e degli ambienti di quel bazar.
http://www.fiaf.net/regioni/sicilia/?p=2230
https://photo.webzoom.it/galleria-foto/luisa-vazquez-travels
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Bruce Gilden
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Bruce Gilden è un fotografo di strada americano. È noto soprattutto per le sue candide foto ravvicinate di persone per le strade di New York City, usando un flash gun. Ha pubblicato vari libri delle sue opere, ha ricevuto l'European Publishers Award for Photography ed è un Guggenheim Fellow.
Un iconico fotografo di strada con uno stile unico, Bruce Gilden è nato a Brooklyn, New York nel 1946. Ha frequentato per la prima volta la Penn State University ma ha trovato i suoi corsi di sociologia troppo noiosi per il suo temperamento e ha lasciato il college. Gilden ha brevemente accarezzato l'idea di fare l'attore, ma nel 1967 ha deciso di acquistare una macchina fotografica e di diventare un fotografo. Nonostante abbia frequentato alcuni corsi serali alla School of Visual Arts di New York, Bruce Gilden è da considerarsi sostanzialmente un fotografo autodidatta.
Fin da bambino è sempre stato affascinato dalla vita di strada e dal movimento complicato e affascinante che comporta, ed è stata questa la scintilla che ha ispirato i suoi primi progetti personali a lungo termine, fotografando a Coney Island e poi durante il Mardi Gras a New Orleans .
Negli anni ha prodotto progetti fotografici lunghi e dettagliati a New York, Haiti, Francia, Irlanda, India, Russia, Giappone, Inghilterra e ora in America.
Dagli anni settanta le sue opere sono state esposte in musei e gallerie d'arte di tutto il mondo e fanno parte di numerose collezioni.
Lo stile fotografico di Bruce Gilden è definito dall'accento dinamico delle sue immagini, dalle sue particolari qualità grafiche e dal suo modo originale e diretto di fotografare i volti dei passanti con un flash. Le potenti immagini di Gilden in bianco e nero e ora a colori hanno portato il fotografo Magnum alla fama mondiale.
Gilden ha ricevuto numerosi premi e borse di studio per il suo lavoro, tra cui borse di studio del National Endowments for the Arts (1980, 1984 e 1992), borsa di studio francese “Villa Medicis Hors les Murs” (1995), borse di studio dalla New York State Foundation for the Arts ( 1979, 1992 e 2000), una borsa di studio della Japan Foundation Artist (1999) e nel 2013 una borsa di studio della Fondazione Guggenheim.
Bruce Gilden ha pubblicato 23 monografie del suo lavoro, tra cui: Facing New York, 1992; Blu, 1994; Haiti, 1996 (Premio degli editori europei per la fotografia); Dopo il via, 1999; Vai, 2000; Isola di Coney, 2002; Una bella catastrofe, 2004; pignoramenti, 2013; A complete Examination of Middlesex, 2014. Nel 2015, Gilden ha pubblicato Face, and Hey Mister Throw Me Some Beads! Un Nouveau Regard Sur la Mobilité Urbaine con la commissione che ha fatto per il sistema di trasporto francese RATP è stato rilasciato nell'aprile 2016. Only God Can Judge Me 2018, Lost And Found 2019, Palermo Gilden 2020, Cherry Blossom 2021.
Bruce Gilden è entrato in Magnum Photos nel 1998. Vive a Beacon, New York.
#photographslivesmatter: Franco Lannino - Studio Camera


Roomphotocafè intervista Tony Gentile
Intervista a Tony Gentile sul diritto d'autore e sintesi dell'evento di protesta da lui organizzato. Palermo il 20 Luglio 2020
#IoLavoroConLaFotografia
Le lezioni di Fotografia di Luigi Ghirri sono immortali
Tra il gennaio 1989 e il giugno 1990, Luigi Ghirri tenne alcune lezioni di fotografia presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia, un vero e proprio alfabeto che il fotografo amava insegnare ai suoi allievi e attraverso il quale esplorava la storia della fotografia mondiale. Una storia che passa necessariamente da un allenamento della vista a ciò che ci circonda, “per pulirsi un po’ lo sguardo”: Luigi Ghirri e la sua fotografia hanno infatti cambiato il modo di guardare il mondo. Un’intera generazione di fotografi addirittura non esisterebbe senza la sua opera racchiusa in un libro che ancora oggi non cessa di stupire e di raccogliere schiere di lettori, esperti di fotografia o semplici appassionati.
Leggere Lezioni di Fotografia avvicina all’arte di Ghirri ma non solo. È uno strumento che concretamente fornisce un solido background per chi vuole diventare un fotografo. “Un punto centrale è quello di scegliere un tipo di immagine, o un metodo,” sostiene Ghirri, “il che significa decidere di dare la massima informazione possibile in tutti i sensi, oppure scegliere e privilegiare un solo tipo di informazione, che può essere la luce, l’inquadratura, la profondità di campo. Questo credo sia un modo corretto per cominciare ad appropriarsi dei fondamenti”.
Mascherine da lavoro, mascherine da passeggio
di Nino Pillitteri
Il 2020, l’anno del COVID-19, del lockdown, ha segnato tutti. Dal 18 maggio, dalla fine dell’autoisolamento a casa, si è ripreso ad uscire. I TG hanno dato, subito dopo la riapertura, notizie in merito alla movida in varie città italiane. Un must è l’uso della mascherina per entrare nei locali pubblici, negozi, centri commerciali. Il suo impiego obbligatorio si aggiunge al distanziamento fisico e all’igienizzazione costante delle mani.
Si vede in giro una nuova moda. Alcuni sono ligi alle indicazioni istituzionali, la tengono ben messa su naso e bocca e usano anche i guanti; molto spesso però il modo di portarla è sotto il mento, calata, scivolata, appoggiata. La norma nazionale ne prevede attualmente l’obbligo solo in ambienti chiusi.
Ci sono mascherine da lavoro, da passeggio e da tempo libero. C’è un modo disinvolto di portarla al polso o al gomito. Si può rotearla su un dito mentre si cammina o ci si siede ad un bar per un caffè. Alcuni usano disinfettanti mentre fanno shopping o attraversano la strada.
Una signora con la spesa la indossa abbinando i colori con l’abitino. I garzoni, in motorino o in bicicletta la usano bassa, scivolata. Con i tatuaggi va al gomito.
Molto usate sono le azzurre da sala operatoria, più economiche e di facile utilizzo e le si può trovare anche nella variante verde. Per un selfie con gli amici davanti al teatro Massimo sicuramente lo stesso tipo in verde acqua può andare bene.
Se si va per negozi la si può fare pendere dal polso come un bracciale. Se con maglietta polo, specialmente con il colletto alzato dietro, si deve tenere conto del pantalone o della gonna. La tinta più elegante è il bianco in questo caso abbinabile con quasi tutti i capi, sia per il giorno che per la sera. Scarpa bianca, camicetta bianca o beige e gonna bleu. Anche in questo caso è in gran voga il bianco e la esibisce al gomito.
Se il completo è arancio o eventualmente sue tonalità allora la chirurgica spezza. Il ragazzo può portarla tra le dita, giocherellando. La ragazza con orecchini di perle la usa ben assestata sul viso. Fa molto trend con le trecce ed esalta il collo se i capelli sono tirati dietro.
Cosa mettere con l’occhiale a specchio? Sicuramente la mascherina tecnica quella omologata. Un modo di utilizzarla è anche quello di portaoggetti in auto. Si può lasciarla appesa allo specchietto retrovisore oppure come culletta per un microfono da radioamatore. Insomma la creatività nella scelta e nell’impiego delle mascherine ha modificato il nostro modo di vivere la giornata. Sono molte le attività che propongono modelli lavabili a mano o in lavatrice, in cotone naturale o fibra di bambù.
Ma quando si deve indossare? Sicuramente negli uffici pubblici, ristoranti e bar, non quando si è seduti al tavolo per una colazione. Sui mezzi di trasporto pubblico è obbligatoria, insomma in quei luoghi dove non è possibile mantenere una corretta distanza di sicurezza di almeno un metro.
"ALLA FINE VA A CULO …… NON SO SE RENDO L’IDEA”
La fotografia è una forma rappresentativa che sostanzialmente riproduce la realtà, anche se in molteplici forme espressive.
Può tranquillamente fissare i tratti che testimoniano il soggetto in un ritratto, catturare un panorama che ci suggestiona, congelare in un’immagine una scena di vita, creare - anche con l’ausilio della fantasia - immagini irreali che suscitano emozioni.
La sintassi che c’è in ciascuno di noi costruisce e crea ciò che si vuole, ma è altrettanto vero che chi andrà a leggere avrà una sua metodologia, una sua grammatica, una sua proprietà di linguaggio che non sempre coincide.
Insomma, per grandi linee, tutto è riproducibile e ciascuno sarà libero di gradire e interpretare quanto viene proposto.
Fra le branche fotografiche le letture di portfolio hanno un loro specifico spazio che accomuna tanti nella sua pratica complessa.
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